Abbiamo scritto in precedenza a riguardo del default mode, e di come in generale la mente necessiti di ambienti “dedicati” a fini associativi, per produrre narrazioni e consapevolezza, cose che contribuiscono a innalzare il livello della nostra igiene mentale che, è bene ricordarlo, si nutre di prevedibilità, organizzazione, assenza di paura e narrazioni/storie con funzione di “drive”.
In un mondo pervaso da dati continuamente disponibili, con il rischio perenne di un overflow cognitivo insalubre e foriero di stanchezza “da esaurimento”, abbiamo visto come spazi di “vuoto” possano garantire la presenza di movimenti auto-protettivi della mente, un po’ come avviene al corpo per il riposo notturno.
Come si inserisce il lavoro di psicoterapia in questo scenario? Un aspetto che non viene molto discusso (almeno in ambito di psicoterapia cognitiva, trovando però maggiori spazi di elaborazione in ambito psicodinamico) è la questione dell’identità.
La psicoterapia, l’ora di colloquio, può funzionare anche -ma non solo- come una sorta di laboratorio identitario, cioè un laboratorio in cui possa esercitarsi un processo di consolidamento dell’identità dell’individuo, o di sua definizione o ridefinizione.
In che modo?
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Narrazione. Ormai non vi è più nessun dubbio a proposito di quanto le storie facciano bene al sé, rafforzando, per così dire, l’Io, e in generale contribuendo a formare l’identità di un individuo: tutto questo, spesso, attraverso un processo di identificazioni multiple e sovrapposte. L’Io stesso (una cipolla costruita di identificazione che si sono sommate*) potrebbe essere pensato come il prodotto epifenomenico finale (come un sistema operativo, una maschera) di una narrazione che noi facciamo su noi stessi, e molteplici evidenze ci suggeriscono che più questa narrazione è precisa, puntuale e organizzata, più il nostro orientamento, la nostra spinta verso la realtà, il nostro senso di padronanza, saranno alti. Crescere vuol dire identificarci a nuove storie (mutuate anche da film, libri, personaggi anche solo immaginati o fantasticati), sovrapponendole a quelle nucleari che ci segnarono dal “giorno 1” (le storie e i miti famigliari). La psicoterapia rafforza l’identità perchè conferisce forma narrativa al discorso che si fa a riguardo del proprio sintomo, e in generale a riguardo di se stessi. Tutto questo (dare un senso narrativo) già di per sé costituisce un elemento di rafforzamento e riorganizzazione, ponendosi come primo, centrale elemento di cura/terapia.
Tratto da “Il Foglio Psichiatrico” - Prosegui nella lettura dell'articolo
ECOPSYS - Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Famiglia

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