Vittorio Lingiardi, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza, analizza il lungo filo rosso di infanticidi degli ultimi mesi
Vittorio Lingiardi, psichiatra, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza, commenta il susseguirsi di piccoli uccisi in famiglia: già quattro da inizio anno, cinque se la morte della bimba morta a Nocera Inferiore dovesse rivelarsi un omicidio, reato per il quale sono indagati da ieri i genitori.
Come si può arrivare a uccidere un figlio?
"Difficile pronunciare parole sensate di fronte al figlicidio. Clinicamente poco serio generalizzare a partire dai fatti di cronaca. Sono tragedie della genitorialità che hanno alle spalle storie terribili di maltrattamento e trascuratezza, traumi subiti e poi inflitti. A queste aggiungerei dei gravi elementi di contesto che possono concorrere a innescare la violenza: l'assunzione di droghe o di alcol, la miseria economica e spesso culturale, l'esasperazione di un conflitto di coppia".
Cosa scatta nella mente di un padre o di una madre che arriva a tanto orrore?
"Farei una differenza tra la violenza materna, che vedo più legata all'angoscia di non essere all'altezza di un ruolo, di un'aspettativa rispetto alla capacità di fornire la cura, e quella paterna, forse più legata a una posizione immatura riguardo all'acquisizione della responsabilità. Cioè padri che sono in realtà figli. Poi, in modi diversi, credo che ciò che scatena gli orrori della disregolazione emotiva sia l'incapacità di tollerare la dipendenza fragile e bisognosa del bambino".
Anche un pianto può innescare tanta violenza?
"Non è un caso che le percosse e i maltrattamenti siano spesso connessi al pianto incoercibile del piccolo. Un pianto, un bisogno di accudimento che mette a nudo l'impotenza del genitore. Una disperazione che si traduce in angoscia e violenza. Una violenza che si scaglia contro la fragilità e il bisogno. Del figlio e inevitabilmente di se stessi".
Tratto da “La Repubblica” - Prosegui nella lettura dell'articolo
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